capire il presente

Le macerie dell’Ucraina sull’Occidente

Nelle ultime settimane è scoppiata la guerra in Ucraina, una guerra preparata, annunciata, dichiarata che ha sollevato una fortissima reazione umanitaria da parte dell’Europa e non solo.

A questo evento drammatico la diplomazia ha risposto cercando soluzioni e mediazioni, alcuni governi hanno prontamente promesso l’invio di armi, decisione questa che riempie le tasche già gonfie delle industrie belliche.

Grazie all’imponente mobilitazione sono stati allestiti centri di accoglienza, la società laica e quella cattolica si sono attivate per portare generi di varia necessità e organizzato mezzi per andare in soccorso della popolazione. Molte persone hanno aperto le proprie case.

In molte città italiane ed europee sono state organizzate marce per la pace, concerti e manifestazioni per esprimere vicinanza alla popolazione colpita dalla guerra.

Lodevole.

Purtroppo, ci sono immagini e fatti che mi impediscono di abbandonarmi con entusiasmo a questo grande abbraccio perché mi torna continuamente in mente il dramma della guerra in Siria (la guerra nei Balcani e lungo sarebbe l’elenco) e la drammatica indifferenza di noi occidentali.

La Siria è devastata da una guerra che dura da undici anni, le vittime tra i civili non si contano, sono state usate armi di vario genere per colpire la popolazione che stremata dalla paura e dalla mancanza di cibo, acqua, medicinali è fuggita riversandosi sui confini turchi e balcanici.

È mancato l’abbraccio quando la Turchia usava i profughi siriani per estorcere concessioni all’Europa, oppure quando trapelavano immagini di donne, anziani, giovani e bambini lasciati morire e patire per la fame e il freddo lungo i confini dell’Ungheria. Confini difesi con filo spinato e militari armati. Profughi tenuti sotto tiro. Paradossale scappare dalle bombe ed essere minacciati con le armi.

Allora si parlava di crisi dei profughi, ora si parla di azione umanitaria.

L’umano si calcola in base alla distanza chilometrica oppure è la paura per la prossimità geografica o ancora è espressione di un calcolo economico-finanziario perché ci sentiamo particolarmente vulnerabili? 

La guerra è devastazione ovunque accada, gli sguardi vuoti, terrorizzati dal sibilo delle bombe e dalla visione dei corpi straziati dovrebbero essere carichi dello stesso significato sia che abbiano tratti slavi o mediorientali.

Meglio tardi che mai dice un vecchio proverbio! Siamo stati ciechi e sordi verso una popolazione che si è dovuta rassegnare al nostro rifiuto, fortunatemente oggi all’ennesimo drammatico appello rispondiamo con grande partecipazione emotiva e concreta.

Negli ultimi anni si parla di declino dell’Occidente, voglio sperare che la nostra risposta sia un riscatto, l’umanità risvegliata da un soporifero nichilismo, questa è la salvezza.

Abbiamo gettato il sasso nello stagno vediamo se si formano i cerchi, dobbiamo solo attendere un’altra guerra che purtroppo non tarderà per capire la vera natura di questo abbraccio.

“c’è un quadro di Klee che si intitola Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta e le ali dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo non può chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce il cumulo delle macerie davanti a lui”

(Walter Benjamin “sul concetto di storia” 1942)

Paul Klee, CC BY-SA 3.0 , via Wikimedia Commons

1 commento su “Le macerie dell’Ucraina sull’Occidente”

  1. La speranza è un significato del tutto particolare nel momento della sofferenza e del dolore. Di fronte al dramma della guerra, condividere un percorso può aiutare a raccogliere le domande e quando questo atteggiamento diventa autentico è possibile riconoscere che gli interrogativi di chi soffre diventano anche i nostri e le obiezioni o i dubbi dell’altro diventano patrimonio personale che interpella nel profondo la nostra coscienza.
    È necessario quindi compiere un percorso, facendosi coinvolgere, che sarà segnato da incontri, storie, esperienze che non conosciamo a priori; all’inizio può esplicitarsi in solidarietà oppure fare paura.
    Ma l’attitudine alla speranza è una caratteristica profondamente umana

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